Il lavoro di Pateletso Mokgotle esplora l’umanità condivisa che ci unisce, affrontando i temi del dolore, dell’identità, della migrazione e della trasformazione. Attraverso dipinti stratificati che combinano tela, pigmenti e materiali organici, crea percorsi tattili in cui i colori incarnano emozioni e le texture evocano memorie. Radicata nel patrimonio africano ma capace di parlare un linguaggio universale, la sua pratica mira a sfidare la percezione, coltivare empatia e celebrare la resilienza.
Artista visivo trasferitosi vicino a Udine dal Sud Africa, lo Statement artistico di Pateletso Mokgotle si concentra su ciò che unisce e divide gli umani: “l mio lavoro inizia con una domanda: cosa ci unisce come umanità e cosa ci divide? Perché alcuni sono considerati “vincitori” mentre altri vengono etichettati come “perdenti”? Come interagiscono i ruoli di oppressore e vittima?
Attraverso la pittura esploro il dolore come catalizzatore di crescita, la natura effimera della vita e l’interconnessione tra gli esseri umani e con la natura. Allo stesso tempo, rifletto sull’origine e sull’identità—forze che possono radicarci, ma che, se fraintese, possono generare divisione e discriminazione, come accade nell’esperienza della migrazione forzata.
Sfido le strutture sociali come politica, religione e tradizioni culturali quando diventano ostacoli all’auto-scoperta e allo sviluppo umano. Vedo la spiritualità come un percorso di guarigione e redenzione, e il mio lavoro si concentra spesso su temi di trasformazione e rinascita.
La coscienza e la consapevolezza di sé, sia individuale che collettiva, sono al centro di questa ricerca di valori e direzioni condivise. La mia pratica è profondamente personale ma anche socio-politica, radicata nell’eredità africana e modellata da esperienze di vita diverse. Onoro la forza e la resilienza trasmesse dai miei antenati, reinterpretando al contempo convinzioni limitanti.
Pur emergendo dall’Africa, le mie narrazioni cercano di trascendere i confini di tempo, spazio, razza e religione, parlando il linguaggio universale dell’anima. Tecnicamente, i miei dipinti sono costruzioni stratificate di tela, acrilico, smalto, sabbia, corteccia e tessuti. Questi materiali incarnano significati molteplici: i miei come artista e quelli portati dall’osservatore. I colori diventano emozione; le texture diventano memoria.
Questa stratificazione crea un percorso tattile e visivo che connette il tangibile con l’intangibile, il duraturo con l’effimero. Mi concedo libertà nella scelta dei materiali, guidata unicamente dal significato. Posso dipingere su cartone scartato per mostrare la bellezza nell’imperfezione e la resilienza nella vulnerabilità. Talvolta strappo tele finite per riutilizzarle in nuove opere, abbracciando la distruzione deliberata come metafora di trasformazione. Questo gesto riflette fiducia nell’intuizione e coraggio nell’andare oltre il “soddisfacente” verso l’“eccezionale”, rispecchiando la costante ricerca di senso dell’umanità.
Attraverso questa pratica, miro a sfidare la percezione, incoraggiare l’empatia e celebrare l’umanità condivisa che ci connette tutti.