Attraverso un lavoro che unisce la precisione della scrittura alla fisicità del gesto artistico, Maria Sanchez Puyade costruisce una poetica in cui il confine tra arte e vita si dissolve. Ogni opera diventa un atto di presenza, un modo di “fare mondo” attraverso la parola. Questa è la sua etica. Questa è la sua estetica.
Nasce nel 1975 a Mar del Plata (Argentina). A 14 anni va a vivere in collegio, vicino a Buenos Aires. Laureata in Lettere e Giurisprudenza presso l’Università di Buenos Aires, nel 2003 si trasferisce in Italia, prima a Ferrara e poi a Trieste.
La parola, intesa come segno grafico e linguaggio profondo – in senso chomskiano – rappresenta il punto di partenza di tutte le sue opere. Tuttavia, per Maria Sanchez Puyade la parola non resta mai confinata nel suo valore semantico: viene costantemente riportata alla luce attraverso molteplici linguaggi artistici – installazioni, video, performance, poesia visiva, fotografia – scelti di volta in volta in funzione di ciò che si vuole trasmettere. L’artista esplora così la tensione tra scrittura e gesto, tra idea e corpo, tra il dire e il fare, indagando il rapporto inscindibile tra parola e azione, poesia e politica, arte e vita.
La sua ricerca si colloca in uno spazio di frontiera, dove la dimensione concettuale incontra l’urgenza espressiva. Nei suoi lavori la lingua si scompone, si frantuma e si ricompone in nuove forme visive; diventa materia viva, capace di generare pensiero e movimento. Spesso l’artista utilizza frammenti di testi, versi o dichiarazioni che vengono trasposti in segni, linee, trame visive o gesti performativi, aprendo così uno spazio di riflessione sulla responsabilità del linguaggio e sulla sua capacità di incidere nella realtà.
Nella pratica di Maria Sanchez Puyade convivono l’intelligenza analitica e la sensibilità poetica, l’impegno politico e la ricerca estetica. L’artista si muove tra rigore concettuale e intensità emotiva, costruendo un linguaggio personale in cui la parola diventa strumento di libertà, memoria e resistenza.
Il suo percorso – geografico, linguistico e interiore – radicato nell’esperienza del migrare riflette una costante ricerca di identità e di appartenenza. La sua opera è attraversata da domande su come si abita una lingua, un corpo, un luogo; su come la comunicazione possa trasformarsi in atto creativo e politico.